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02/11/2015
La definizione aziendalistica di crisi d’impresa: le Linee Guida del CNDCEC
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha pubblicato, in data 2 novembre 2015, il documento “Informativa e valutazione nella crisi d’impresa”, al fine di superare i limiti tuttora presenti nella definizione aziendalistica di crisi d’impresa, i cui profili giuridici sono attualmente al vaglio della Commissione Ministeriale istituita per la riforma organica della disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Le Linee Guida del CNDCEC evidenziano le possibili conoscenze economico-aziendali che gli operatori, o i soggetti che hanno rapporti con un’azienda in difficoltà possono acquisire in merito al reale rischio di default dell’impresa. Vi sono infatti attualmente “opacità” nella definizione di “crisi d’impresa”, e carenza di conoscenza da parte dei soggetti, che non hanno dimestichezza con la gestione dinamica aziendale, sotto un duplice profilo: la governance di imprese in bonis interessate da una situazione di tensione finanziaria; i dati informativi finanziari e di bilancio che permettono una rilevazione dei vari stadi di crisi che possono caratterizzare la realtà, anche ordinaria, dell’azienda. In vista di un prossimo disegno di legge delega al Governo per la riforma organica della disciplina concorsuale, le Linee Guida del CNDCEC rappresentano, quindi, uno strumento di indirizzo per i commercialisti che svolgono la propria attività in contatto con l’imprenditore, al fine di individuare i criteri di qualificazione aziendale della crisi dell’impresa, idonei a consentire l’accertamento dell’emersione della stessa, la gestione e il conseguente monitoraggio. Vengono individuati gli elementi qualitativi e informativi della rilevazione degli stati della situazione di difficoltà, per valutare se un’impresa si trovi effettivamente in condizione di dissesto oppure di crisi reversibile e, quindi, superabile. Il documento è utile anche per gli organi di gestione delle società, nell’ottica della tempestiva emersione della crisi d’impresa. Il CNDCEC esamina i concetti di crisi e insolvenza sotto il profilo aziendalistico. L’azienda può affrontare più momenti di difficoltà, anche profondi, ma non necessariamente strutturali o definitivi, né tantomeno tali da intaccare la solvibilità. La dottrina prevalente individua quattro distinti momenti di evoluzione della crisi, in cui è possibile intervenire prima che l’impresa entri in una situazione irreversibile: incubazione, in cui si manifestano iniziali fenomeni di inefficienza; manifestazione della crisi, nell’ambito della quale si cominciano ad intaccare le risorse aziendali con incremento del livello di indebitamento; emersione di sgravi squilibri finanziari, con significative ripercussioni sulla fiducia nelle diverse categorie di stakeholder; insolvenza e condizione di dissesto permanente e irreversibile (in assenza di tempestive manovre di risanamento attuate nel corso delle precedenti fasi). Il documento del CNDCEC ritiene naturale affermare che lo stato di insolvenza, quale presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, deve ritenersi realizzato ogni qualvolta il patrimonio dello stesso versi in una situazione di oggettiva impotenza economica, funzionale e non transitoria, per la quale costui non sia più in grado di far fronte, con regolarità e mezzi normali, all’adempimento delle proprie obbligazioni, a seguito del verificarsi di eventi che pregiudicano la liquidità e il credito necessari allo svolgimento dell’attività d’impresa. Il bilancio d’esercizio non sempre è in grado di dimostrare lo stato di insolvenza, cioè di fare emergere lo stato di crisi. La realtà contabile è ben altra cosa rispetto alla realtà operativa dell’azienda in attività. Il quadro che emerge dal raffronto tra poste attive e passive non sempre corrisponde alla situazione patrimoniale-finanziaria effettiva e concreta del patrimonio funzionante. Affinché vi sia allineamento con quest’ultimo occorre un processo rigoroso di impairment degli attivi, con riferimento al valore d’uso determinato in misura corrispondente ai flussi di cassa attesi. Sul punto, il CNDCEC osserva che l'insolvenza prospettica si sostanzia in una situazione di inattitudine ad estinguere il debito con i flussi prospettici al servizio dello stesso. Il patrimonio è pari alla somma algebrica dell’enterprise value e del debito operativo normalizzato (Posizione Finanziaria Netta negativa maggiorata del debito non finanziario scaduto). L'enterprise value corrisponde all’attualizzazione dei flussi prospettici e cioè al risultato dell’impairment test (valore d’uso). Se il valore d’uso è inferiore al debito operativo normalizzato, il Patrimonio Netto è negativo, la società ha perso il proprio capitale sociale e i flussi di cassa prospettici non consentono il pagamento integrale del debito. Soltanto con un impairment test rigoroso, condotto con riferimento al valore d’uso sulla base dei flussi prospettici, il bilancio di esercizio può provare di per sé la presenza di uno stato di insolvenza anche solo prospettica o, quanto meno, l’esistenza di uno stato di crisi. In ogni altra ipotesi, il bilancio, ancorato a grandezze statiche, non potrebbe giustificare l’intervento esterno di un’autorità giudiziaria o di terzi estranei all’impresa per l’avvio di un procedimento concorsuale o di regolazione della crisi che, peraltro, potrebbe essere l’elemento destabilizzante degli equilibri dell’impresa, per le conseguenze reputazionali che ne possono derivare in modo irreparabile.